Gli eroi vercellesi: una mostra permanente in Municipio

26 Marzo 2021

Rodolfo Gattinara di Zubiena, Camillo De Rossi, Giovanni Randaccio e Alessandro Salamano.

Quattro grandi eroi, quattro figli del Vercellese premiati in quanto protagonisti esemplari dei fatti del Risorgimento italiano e della Grande Guerra.
Da Governolo a Kars-el-Leben, al Timavo passando per Cantù.

In questa pagina si possono trovare le schede che riassumono le gesta di ogni eroe.
Le fonti storiche sono tratte dal primo numero della rivista Vercelli Nobilissima, del 1924.


  • Rodolfo Gattinara di Zubiena

Tenente aiutante in 2. in Genova cavalleria, il conte Rodolfo Gattinara di Zubiena cadde sul campo di battaglia il 18 luglio 1848.
Gli austriaci, respinti dal villaggio di Governolo, si erano asserragliati in un campo e, protetti da un largo fossato, bersagliavano le truppe italiane che li stavano inseguendo.
Per scacciare il nemico da quella posizione occorreva varcare un ponticello sul fossato, saldamento difeso.
Rodolfo di Gattinara, intuendo la necessità di forzare il passaggio, senza esitazione ed incitando i suoi uomini a seguirlo, carica al galoppo incontro all'artiglieria nemica.
Crivellato di colpi e ferito a morte, l'azione risparmiò numerose ed ulteriori perdite.
Si racconta che il tenente di Gattinara, slanciandosi attraverso il ponticello, facesse mostra di una moneta d'argento, gridando ai lancieri che lo inseguivano "Uno scudo a chi trova uno dei miei soldati che tremi!"

Vittorio Emanuele II, volendo personalmente onorare la memoria dell'ufficiale, il 5 febbraio 1852, per mezzo del primo ministro Massimo D'Azeglio, inviava alla madre di Rodolfo Gattinara "la medaglia d'oro che, sopravvivendo al pericolo, avrebbe dovuto brillare sul petto di lui".

  • Camillo De Rossi

Nato ad Arborio nel 1874, nel 1892 era sottotenente di fanteria.
Prese parte nel 1896, in Eritrea, alle operazioni per la liberazione di Adigrat.
Nel 1912, da capitano, partecipò col suo reggimento all'avanzara su Kars-el-Leben.
Nella notte del 17 settembre 1912, il nemico si apprestava a sfruttare l'oscurità per attaccare le posizioni italiane.
Il capitano, funzionante da aiutante maggiore di battaglione, si spinse sul ciglio di un vallone per studiare l'avvallamento.
Accortosi dei movimenti nemici, si mise alla testa del reparto più vicino e attaccò, lottando corpo a corpo e mettendo in fuga i nemici.
Nell'assalto, Camillo De Rossi fu colpito quasi a bruciapelo all'addome, cadendo sul campo.

  • Giovanni Randaccio

Gabriele D'Annunzio, nell'orazione di Monfalcone in memoria di Randaccio, lo chiamò "Fante esemplare, vero operaio della vittoria, l'uomo compiuto della nostra guerra".
Nato a Torino nel 1885, da padre sardo - anch'egli valoroso ufficiale nelle battaglie dell'indipendenza nazionale - e da madre vercellese, crebbe a Vercelli, dove stette fino al termine dei suoi studi liceali, per poi venire ammesso all'Accademia Militare di Modena da dove, nel 1905, uscì sottotenente di fanteria.
Prese parte alla guerra di Libia per poi passare all'aviazione, ottenendo il brevetto di pilota.
Combattè la Grande Guerra col 77. fanteria, nella Brigata dei Lupi di Toscana.
Il 1° giugno 1915, a Monte Sei Busi, guadagnò la sua prima medaglia d'argento per l'arditezza dimostrata conducendo all'attacco la propria compagnia e gli uomini di un altro reparto rimasto senza ufficiali.
Il 21 ottobre successivo, sempre sul Carso, venne fregiato della seconda medaglia d'argento, ma, in seguito alle grandi ferite riportate, dovette rimanere alcuni mesi fuori lontano dal conflitto.

Ripreso il posto tra i suoi fanti, partecipò alle azioni che si svolsero l'11 e il 12 ottobre 1916 sul Veliki-Kribach, in cima al quale piantò la bandiera affidatagli da D'Annunzio.
La condotta in quest'altra battaglia valse a Giovanni Randaccio la terza medaglia d'argento e la promozione a maggiore per meriti di guerra.
Le gravi ferite che riportò, però, lo allontanarono nuovamente dal fronte.

Appena guarito ritornò sul Carso.
Il 28 maggio 1917, al Timavo, nell'occupazione della Quota 28, Randaccio venne ripetutamente colpito dal nemico. 
Le ferite questa volta furono così gravi che non riuscì a sopravvivere.

Fu infine insignito della medaglia d'oro, che fu oggetto di speciale ordine del giorno alle truppe dell'Armata.

  • Alessandro Salamano

Di famiglia vercellese, nacque a Torino nel 1892.
Pochi anni prima della guerra aveva rischiato la vita per trarre in salvo una bambina che stava per essere investita da un tram in corsa.
Fece la guerra col 154. fanteria, compiendo ottimamamente il suo dovere di ufficiale.
Il 25 giugno 1918, trovandosi a Cantù per la preparazione dei soldati che dovevano essere inviati al fronte, mentre il suo reparto si esercitava nel lancio delle bombe uno degli ordigni cadde, innescato, in mezzo alle reclute.
Il tenente Salamano, intuendo il pericolo, si lanciò sulla bomba, che esplose su di lui, dilaniando il suo petto ma lasciando illesi i soldati.
Dopo undici mesi di cure e dopo aver subito tre operazioni chirurgiche, con l'asportazione di quattro costole, Alessandro Salamano uscì guarito dall'ospedale e ricevette, nella sua Vercelli, la medaglia d'oro al valore militare, decretatagli per il suo atto di eroico altruismo.