I segreti della Vercelli medievale

L'Amministrazione Comunale comunica che la mostra “I Segreti della Vercelli Medievale” riaprirà al pubblico, venerdì 30 aprile alle ore 17.00, presso il contenitore espositivo Arca e resterà aperta fino al 27 giugno 2021.

Sarà possibile visitare l'esposizione da martedì a domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00.

L'ingresso alla mostra è gratuito, ma è necessario prenotare scrivendo una e-mail all'indirizzo di posta elettronica: prenotazioni.vercelli@gmail.com, oppure rivolgendosi al numero 380/1868799, contattabile dalle 10.00 alle 18.00 da martedì a domenica.

Gli accessi alla mostra e le modalità di visita avverranno nel rispetto di tutte le disposizioni normative anti-contagio.

Quando: 
da Venerdì 30 Aprile 2021, ore 10:00 a Domenica 27 Giugno 2021, ore 19:00
Dove: 
Arca
Piazza san Marco13100 Vercelli , VC
Descrizione: 

La mostra prende spunto dalle impareggiabili presentazioni del Professor Alessandro Barbero, eminente storico medievista e Docente dell’Università del Piemonte Orientale, volte ad illustrare le pregevoli e sublimi opere artistiche e gli autorevoli documenti che ben ci fanno comprendere la straordinaria importanza di Vercelli nel Medioevo. Dalle accademiche precisissime descrizioni, ricche di fascino e di pathos, si sviluppano e si condensano indicazioni utili a concepire  un percorso espositivo declinato lungo aspetti definiti in un ambito archivistico di pergamene e codici, tutti beni culturali preservati negli scrigni più prestigiosi della città: l’Archivio e la Biblioteca del Comune di Vercelli, l’Archivio Storico Diocesano, la Biblioteca Diocesana Agnesiana, la Fondazione Museo del Tesoro del Duomo, il Museo Leone e l’Archivio di Stato. Alcuni documenti, tra gli innumerevoli conservati a Vercelli, sono quindi offerti in mostra al servizio ed alla curiosità del visitatore. Alcune presentazioni sono inedite, mentre altre sono già state apprezzate in molte importanti mostre in diverse parti del mondo. Il tutto viene esposto al fine di rendere in modo sintetico, e non certamente esaustivo, quale fu il mondo della scrittura e del pensiero medievale, in particolare dal punto di vista ecclesiastico, in città e nel territorio. Che la storia si concretizzi attraverso i documenti è questione nota, ma attraverso quali documenti? La mostra intende presentare una pluralità di voci: non solo i documenti e i codici più noti, quindi, ma anche le testimonianze apparentemente più modeste, e non per questo meno importanti, rappresentano concretamente la comunicazione e la vita di quei tempi. Il visitatore incontra pertanto una cronologia di eventi uniti anche da indirizzi tematici. Finanche l’allestimento della mostra, come del resto l’architettura degli spazi, aiuta a distinguere i periodi e gli accadimenti. Nell’esposizione viene principalmente preso in considerazione il periodo cronologico che muove dal IX al XIV secolo: un tempo ampio, particolarmente intenso e incredibilmente florido per Vercelli. Seguendo le vicende della Diocesi e del Comune, oltre che dell’Università e delle grandi famiglie aristocratiche urbane, si riescono a percepire in modo inedito l’organizzazione del potere, le forme della vita quotidiana, le ideologie politiche e religiose e gli sviluppi della cultura. A Vercelli si realizzano le grandi opere architettoniche dell’età di mezzo, impossibile non menzionare l’Abbazia di Sant’Andrea (1219-1227), ma anche le chiese a impianto medievale del centro storico come San Bernardo, San Paolo, San Francesco, la Cattedrale (ancora presente l’impianto dell’antico campanile) e i grandi tesori custoditi nelle biblioteche e negli archivi della città. Testimonianze che ci raccontano personaggi, eventi, situazioni, necessità, difficoltà. Parole che sprigionano l’essenza dell’umanità e ci emozionano per l’indelebile ricordo che producono alla loro vista. Certamente, tra i grandi protagonisti della Vercelli immediatamente pre-medievale, non è possibile non ricordare la missione pastorale di Sant’Eusebio (IV secolo) che, grazie alla predicazione diffusa lungo il territorio che oggi conosciamo come Piemonte, rese la città e la Diocesi imponenti e colme di grazia evangelica, tanto da lasciare importanti segni anche nei secoli successivi, quelli che abbiamo preso appunto in considerazione. Non sarà inutile ricordare che ricorrono, in questo periodo, anche i 1650 anni dalla morte del Santo, ed è parso gradito non trascurare questo importante aspetto.

La proposta non si limita alla scelta dei vari tipi di documenti per rintracciare le informazioni e i problemi. Un documento non riferisce solo il suo contenuto in modo oggettivo e non è facile renderlo identificabile. Occorre esaminarlo da diversi punti di vista: quello storico, archivistico, spirituale, sociale, estetico, diplomatico. Nella mostra, quindi, non si pretende di ricostruire dettagliatamente i fatti del tempo, ma di sottolineare le attività, i problemi, le consuetudini del tempo e renderli noti. Gli archivi della città si rivelano così senza timori con uno spirito di servizio alla Chiesa e alle amministrazioni civili. Si disvela un ambito culturale come riferimento al nostro passato. Un incontro rivolto ad un vasto pubblico per comprendere l’importanza dell’approccio rispettoso ai documenti sfogliando registri, sciogliendo lacci e fermagli chiusi spesso da molto tempo, apprezzando la conservazione della documentazione archivistica, memoria storica e corrente dei fatti. Immaginiamo una sorta di “scatola nera” che viene consapevolmente aperta per illustrare, ma anche per focalizzare, le relazioni tra il mondo degli archivi e delle biblioteche con la complessa realtà sociale in cui viviamo. Attraverso l’allestimento della mostra, i beni esposti devono poter esprimere anche nuovi linguaggi, impulsi emotivi, giustificazioni rivolte ad un approccio diverso, in una visione temporanea (in prossimità di dove sono custoditi e celati questi tesori), senza rinunciare alla scientificità dei documenti. Ma quali segreti e quali informazioni sono celati nelle parole e nei simboli? Per iniziare in modo stravagante è stato utile concedersi una prima licenza. Per rievocare il Medioevo è necessario provocare determinate sensazioni. La percezione della Vercelli di quel periodo è possibile grazie a una stupenda incisione settecentesca che ci aiuta a comprendere la città turrita. Quanto svettava e si ergeva era certamente segno di grande potere e attenzione verso l’attività politica, ecclesiastica, commerciale del tempo. Alessandro Barbero, prima di immergersi nel tempo e nello spazio, ci narra quindi essenzialmente di una città medievale.

 

Viene riposta particolare attenzione al periodo ottoniano, quello degli imperatori del Sacro Romano Impero originari della Sassonia, che governarono dalla fine del X secolo all’inizio dell’XI prendendo il nome da Ottone I, detto il Grande (912-973), acclamato imperatore nel 955 e “Capo del mondo”: ricevette la corona imperiale anche da papa Giovanni XII, nel 962. L’area germanica ottoniana, cuore effettivo dell’Impero, conserverà il governo di tutto l’Occidente influenzando anche, ed in modo significativo, la realtà della Chiesa attraverso il Privilegium Othonis. Importante si rivelerà anche la politica culturale sviluppata nell’area milanese, pavese e vercellese. Tra le figure di spicco della politica imperiale del tempo, allorché i Vescovi assurgono alla dignità di “Vescovi-conti”, emerge il Vescovo Leone di Vercelli, ecclesiastico seguace di Ottone III; Leone (nativo di Hildesheim), Arcidiacono nel 998 e Referente dell'imperatore a Roma, fu nominato Vescovo di Vercelli intorno al 998/999 proprio dal sovrano. Intensa fu per il presule l’attività politica che lo vide, fra l’altro, sostenitore di Enrico II e di Corrado II, e attenta fu la sua opera quale referente strategico nei rapporti tra il papa e l'imperatore. Al periodo sono legati alcuni diplomi imperiali, svelati dall’Archivio Storico della Diocesi e dall’Archivio Capitolare, che ci indicano il Vescovo Leone come riferimento primario di alcune concessioni di Ottone III in favore della Chiesa di Vercelli. E splendidamente, dalle testimonianze scritte, emergono le attività e le vicissitudini di quel tempo (relativamente ad alcuni diplomi ed alle conseguenti copie è ancora aperto un confronto circa i periodi di trascrizione e l’eventuale autenticità di alcune informazioni). Nel X secolo giunge a Vercelli anche il codice CLXV, un compendio di diritto ecclesiastico altomedievale risalente al secondo quarto del IX secolo, legato addirittura ad una citazione di Ottone I datata 951. Di tale periodo si espone anche un diploma contenente una donazione del Vescovo Attone (episcopato 924-960) ai Canonici di Santa Maria e Sant’Eusebio di Vercelli. In questo contesto temporale è inserito in mostra anche il notissimo Vercelli Book, custodito presso il Museo del Tesoro del Duomo: manoscritto membranaceo redatto in uno Scriptorium del sud-est inglese verso la fine del X secolo. La lingua in cui è vergata l’opera è l’anglosassone. Il volume contiene ventitré omelie in prosa concernenti importanti solennità della Chiesa e sei componimenti poetici. La sua importanza letteraria e storica risiede nel fatto che, insieme ad altri tre codici coevi conservati nel Regno Unito, contiene una buona parte della produzione poetica in antico inglese. Infatti, ben undici delle ventitré omelie sono attestate unicamente nel Vercelli Book e costituiscono, pertanto, un documento linguistico e culturale preziosissimo. Il suo arrivo a Vercelli è attestabile presumibilmente tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo. L’esposizione è accompagnata da un video contenente la narrazione di Alessandro Barbero. Il diploma del 1030, invece, ci informa circa la conferma da parte di Corrado II alla Chiesa di Vercelli di tutti i diritti e i possedimenti; l’originale, di proprietà del Museo Leone, registra quindi un interessante percorso della vita ecclesiastica, amministrativa e politica della città: è esposto in copia estesa anche il documento proveniente dall’Archivio di Stato di Vercelli e dal Fondo Vescovile dell’Archivio Storico dell’Arcidiocesi.

Con la fine delle grandi invasioni si rinvigorisce la stabilità dei territori e delle città, ed anche il mondo culturale trae beneficio da questa situazione: a Bologna abbiamo la fondazione della prima Università (1088). Per molti borghi del nord e del centro Italia avviene così il distacco dal mondo feudale: resesi indipendenti dal potere imperiale, diverse città si costituiranno in Liberi Comuni. Nel XII secolo sarà Federico Barbarossa che, con l’incoronazione del 1152 alla guida del Sacro Romano Impero, tenterà una difficile e controversa restaurazione, anche a livello locale, contro le libertà comunali. La Battaglia di Legnano (1176) segnerà la sconfitta del Barbarossa nei confronti della neocostituita Lega Lombarda e condurrà alla successiva “Pace di Costanza”, siglata nel 1183 mediante un accordo tra l’imperatore ed i rappresentanti dei Comuni alleati. Anche Vercelli parteciperà a questo importante avvenimento: in mostra, per l’appunto, viene presentata una copia di quel celebre trattato di pace le cui caratteristiche sono state sintetizzate da Alessandro Barbero. Il XII secolo ci racconta, inoltre, di un fondamentale accordo tra Vercelli e il Monferrato (1170). Anche la pergamena “1” del Fondo Sant’ Andrea testimonia, attraverso la donazione della chiesa di Santa Maria di Planca, come l’Ospedale vercellese fosse già affidato alla congregazione dei Canonici regolari mortariensi. Verso la fine del XII secolo, poi, la Chiesa locale conosce nuova linfa e splendore per opera del Vescovo Alberto (episcopato 1185-1205): ne è testimonianza la produzione di importanti manoscritti ad uso del clero e della Scuola Eusebiana, da poco istituita dallo stesso presule. La mostra ci offre ancora il sublime Evangelistario festivo (1185-1191) custodito nella Biblioteca Capitolare, noto anche come Codice C, realizzato nello scriptorium eusebiano e composto di 53 fogli riccamente miniati. In mostra anche il diploma del 1191 che conferma, tra il Vescovo Alberto ed Enrico VI, gli accordi già siglati con Corrado III e Federico I: si determinano così le linee politiche della Chiesa locale (riconfermate poi da successivi diplomi imperiali del 1220 e 1238, non in mostra). La Biblioteca Diocesana custodisce molte pergamene (circa 400 datate a partire dal XII secolo) di cui alcuni esemplari sono presenti in mostra. Si tratta di documenti riconducibili alle attività delle chiese e delle famiglie più importanti della città: come le pergamene del Fondo San Donato, di cui si espongono due esemplari autentici del 1182 e del 1205 che raccontano rispettivamente di una compravendita dei Canonici di Sant’Eusebio e di un interessante lascito testamentario dell’Arcidiacono Guala (da non confondere con il coevo Guala Bicchieri).

 

Con il XIII secolo prosegue la rinascita intellettuale dei Comuni. Nel mondo culturale, anche sullo sfondo delle rivalità tra guelfi e ghibellini, si va costituendo un primo abbozzo di pensiero “nazionale” legato alla non accettazione delle ingerenze tedesche a favore, invece, della romanità. Dopo la prima metà del XIII secolo, la nascita delle Signorie conduce ad un’ulteriore evoluzione istituzionale in molti Comuni dell'Italia centro-settentrionale. Nuovi poteri vengono così conferiti ad importanti nuclei familiari, spesso a carattere vitalizio, anche tramite cariche podestarili. Le nuove condizioni portano ad un governo della città stabile e forte contrastando, in questo modo, i numerosi conflitti politici e sociali interni. L’imperatore legittima le nuove dinastie signorili concedendo loro anche il titolo ducale. Le istituzioni comunali rimangono comunque funzionanti, anche se spesso con potere decisionale limitato. A Vercelli la prima metà del XIII secolo è segnata da straordinari avvenimenti.  E’ il florido periodo del Cardinale Guala Bicchieri. Grazie al suo noto ruolo politico ed ecclesiastico internazionale, soprattutto a seguito delle sue legazioni in Francia ed Inghilterra, prendono vita le grandi opere della città: l’Abbazia di Sant’Andrea e l’antico Ospedale di Vercelli (noto oggi come il Dugentesco). La mostra vuole anche proseguire nella esposizione di documenti legati alla figura di Guala e di Tommaso Gallo, primo Abate di Sant’Andrea, tralasciando tuttavia alcune importanti attestazioni, giacché l’argomento è già stato ampiamente trattato lo scorso anno con la mostra: “La Magna Charta: Guala Bicchieri e il suo lascito. L’Europa a Vercelli nel Duecento”, a cura del sottoscritto e di Saverio Lomartire, che ha coordinato con Giovanni Ferraris il conseguente Convegno internazionale.  Il Comune di quel tempo, invece, si distingue per le attività civili. I Biscioni (riproduzione del XIV sec), tre volumi in mostra in ARCA, contengono una trascrizione che testimonia la presenza fra Duecento e Trecento di un insediamento universitario a Vercelli. In particolare si trascrive di un patto stipulato a Padova nel 1228 tra gli inviati del Comune di Vercelli e i rappresentanti dell’Università di Padova (Carta Studii). Il documento quindi non istituisce lo Studio, bensì sancisce una convenzione enunciando norme sull’accoglienza degli studenti, scelta e salari dei docenti, garanzie di pace e giustizia, attività divulgative in Italia per far conoscere la Scuola. I Biscioni beneficiano di un commento di Alessandro Barbero.

Del medesimo periodo, legati alla Scuola parigina ed alle attività connesse a Guala, ma anche lievemente successivi, sono esposti i manoscritti miniati custoditi presso la Biblioteca Diocesana Agnesiana e la Fondazione Museo del Tesoro del Duomo. In mostra si ripropone, infatti, il codice Bibliorum Concordantiae. La Scuola parigina è l’elemento caratterizzante la natura del codice, attribuibile all’Abate Tommaso Gallo (XIII sec) ed abbinato alla rarissima cinquecentina conosciuta come “Dionigi”, del 1536 (opera mai esposta), contenente la pubblicazione di alcune opere dell’Abate legate a Dionigi, lo pseudo Areopagita. Gli altri successivi manoscritti costituiscono una novità espositiva assoluta: il Salterio (1230-1235 circa) ricco di preziose miniature ed il codice De proprietatibus rerum (contenente l’opera di Bartolomeo di Glanville, un francescano inglese del secolo XIII). Dell’Archivio Capitolare è presente anche un significativo Breviario iemale (XIII sec, CLXX) prodotto in uno scriptorium della Francia Settentrionale. Il suo arrivo a Vercelli è riconducibile alla figura di Giacomo de Carnario, Vescovo di Vercelli (episcopato 1236-1241) nonché funzionario della delegazione di Guala Bicchieri in Inghilterra nel periodo 1216-18, durante la lotta tra Luigi VIII di Francia e le forze fedeli ad Enrico III. La figura di papa Gregorio IX (pontificato 1227-41), giunta dopo Innocenzo III (1198-1216) e Onorio III (1216-27), risulta determinante per comprendere le nuove tensioni che coinvolsero Federico II (1194-1250) e l’Impero. A seguito delle scomuniche del 1227 (con il conseguente avvio della Crociata) e del 1239, dopo la ripresa del potere di Federico II sulle città ribelli appartenenti alla Lega Lombarda, il papa si dimostrò particolarmente intransigente nei confronti dell’imperatore. Queste vicende ci aiutano a comprendere meglio i documenti esposti legati alla personalità del pontefice, come il codice Historia Orientalis (inizio XIII secolo): l’opera risale a Giacomo di Vitry, creato Cardinale di Frascati nel 1229 proprio da Gregorio IX. Tra le pergamene si propongono ancora alcune significative testimonianze provenienti della Biblioteca Diocesana: del Fondo San Lorenzo, la prima pergamena tratta della concessione di un terreno da parte dell’Ospedale di Sant’ Andrea mentre l’altra, del 1228, ci informa che papa Gregorio IX, presi sotto la sua protezione i fratelli penitenti, ha ingiunto alle autorità civili e religiose di cessare le persecuzioni e le vessazioni nei loro confronti. In mostra sono visibili anche i Decretali del Codice V, costituito da 262 fogli pergamenacei contenenti appunto i Decretales di Gregorio IX: un’importante silloge di diritto canonico emanata nel 1234. L’opera è datata al 1330 circa, ed è riconducibile ai libri legales bolognesi: il testo fu infatti donato al Capitolo della Cattedrale nel 1350 da parte di Martino de Bulgaro ed è ora custodito presso la Biblioteca Capitolare.

La potenza dell’Impero si affievolisce dopo le sconfitte di Federico Barbarossa a Legnano (1176) e, più tardi, di Manfredi a Benevento (1266) segnando così la fine del dominio politico imperiale su gran parte della Penisola. Enrico VII di Lussemburgo tenterà nel 1308 di restaurare il potere imperiale in Italia trovando, però, molte difficoltà con papa Clemente V e Roberto d’Angiò (re di Napoli 1309-1343). La sua incoronazione come imperatore del Sacro Romano Impero (titolo vacante dalla morte di Federico II) rimarrà quindi un fatto puramente simbolico. Nel 1313 Enrico morrà, infatti, senza aver compiuto l’unificazione territoriale da molti sperata e da molti altri ostacolata. Anche il clero versa in un periodo di crisi. Impero e Chiesa si vedono costretti, così, ad accogliere la crescente influenza degli Stati nazionali e l’inarrestabile avanzata della classe borghese, segno evidente della grande crisi del feudalesimo.

Papa Bonifacio VIII (pontificato 1294-1303) tenta la restaurazione del potere papale. Ma nel 1305 papa Clemente V (pontificato 1305-14) trasferisce ad Avignone la sede papale, che resterà per circa settant’ anni (la cattività avignonese, appunto) de facto sotto il controllo dei re di Francia. Nel 1378 prende corpo il noto Scisma d'Occidente, con papa Gregorio XI che torna ad insediare  nuovamente a Roma la Sede Apostolica. L'Europa si divide così tra due pontefici fino al 1417, anno della fine del Grande Scisma. In questo periodo particolare, dal punto di vista religioso, culturale e politico, il papato perde il carisma dei secoli precedenti lasciando spazio all’aristocrazia ed alla nuova borghesia locale.

Legata proprio a quest’epoca è in mostra l’imponente (240 cm) pergamena proveniente dal Fondo Caresana della Biblioteca Diocesana Agnesiana; il documento è di grande interesse poiché descrive minuziosamente il patrimonio fondiario di un membro della piccola aristocrazia del contado vercellese del XIV secolo. Sappiamo infatti che la famiglia dei de Dionixiis si affermò, a partire dalla seconda metà del XIII secolo, grazie al rapporto di dipendenza instaurato con i Canonici della Cattedrale di Vercelli, proprietari di vasti beni fondiari nell’area di Caresana. Sempre proveniente dal Fondo pergamene della Agnesiana, si espone poi un interessante documento datato 1318: esso descrive in modo chiaro la prassi seguita all’interno del monastero benedettino di Muleggio allorché si rendeva necessario adottare provvedimenti rilevanti per la vita della comunità. Il nuovo abate aveva consentito l’ingresso nel monastero ad un certo numero di giovani monaci, presumibilmente di rango aristocratico. Ciò aveva comportato una certa ingerenza delle famiglie di provenienza nella vita del monastero, nonché pressanti richieste da parte di altre nobili famiglie affinché anche i loro rampolli fossero accolti nell’ente.

La sentenza arbitrale (1384) di alcuni cittadini di Vercelli nella questione insorta tra Giorgio Avogadro di Collobiano e Antonio del fu Francesco Avogadro di Collobiano circa l’uso dell’acqua di una roggia destinata ad alimentare il mulino posseduto dagli Avogadro (nei pressi del castello di Collobiano), ci informa su come una lite in una famiglia aristocratica come gli Avogadro potesse essere risolta in modo esemplare. E possiamo sapere anche come potesse essere affrontata una causa per debiti menzionata nelle pergamene di un’altra famiglia aristocratica locale, gli Alciati, datata 1305, attraverso un atto di esecuzione sui beni di Guidetto e Ardizzone in favore di Bertolino Alciati del fu Guglielmo.

E’ il periodo in cui la medicina incontra nuove sfide e, anche a seguito delle pestilenze in corso, l’Ospedale diventa un riferimento importante per la Città: le due pergamene dell’Archivio di Stato esposte confermano l’origine e il vigore della missione medica. Il Medicinalis pandecta, scritto da Matteo Silvatico, medico salernitano che coltivava le piante medicinali, è un ottimo esempio di attenzione verso l’argomento. L’opera, terminata intorno al 1332 e dedicata a Roberto d’Angiò, re di Napoli, intende fornire la corretta denominazione dei “semplici” (i princìpi attivi) di origine vegetale, minerale ed animale. Il manoscritto vercellese in esposizione è, invece, un raro esemplare dei diciotto finora individuati e uno dei nove del sec. XV. Tra i documenti del Comune in esposizione è presente una serie di quaderni fascicolati chiusi. Tra questi, il quaderno quarto si interrompe con un atto del 20 luglio 1361, non completato: vi si riporta un’invocazione religioso-scaramantica contro la “morte subitanea”. Questo indizio, unitamente alla mancanza di atti posteriori al 1361, potrebbe suggerire che la parabola professionale e umana del notaio si sia conclusa durante l’epidemia di peste che colpì, proprio in quell’anno, la città di Vercelli.

La mostra vuole concludersi con una rielaborazione dell’inizio del percorso. L’attenzione ai documenti non può farci dimenticare la produzione artistica che, molto fiorente all’epoca, in diversi casi ha lasciato una grande eredità che è giunta fino ai giorni nostri restando visibile, come un miracolo, al pubblico dei fedeli e di chiunque voglia godere della bellezza del passato. Alla committenza del Vescovo Leone si deve anche la realizzazione del grande Crocifisso monumentale custodito in Cattedrale: l’opera si confronta, per tipologia ed esecuzione, con il Crocifisso pavese commissionato nel X secolo dalla Badessa Raingarda ed oggi custodito nella Basilica di San Michele, a Pavia. Di poco posteriori per stile ed epoca (XI secolo) sono altri due noti Crocifissi: quello custodito nella Cattedrale di Sant’Evasio a Casale Monferrato e quello di Ariberto, ora esposto nel Museo del Duomo di Milano. La mostra quindi vuole confermare e confrontare, attraverso alcune immagini delle quattro opere, la magnificenza dell’oreficeria del tempo unita all’esaltazione del Cristo sulla croce. Concretezza simbolica che raggiunge l’enfasi del momento storico nella copia del diploma imperiale del 999 e nel quarto volume dei Biscioni. Alessandro Barbero ci descrive quindi il Crocifisso della Cattedrale.

Anche il Concilio di Vercelli, svoltosi nel 1050, lasciò un segno memorabile nella storia ecclesiastica locale e internazionale per la significativa presenza entro le mura di influenti personalità del tempo. Il Concilio, che comportò lo svolgimento delle sessioni lavorative in città, anche se non espressamente trattato (come molti altri argomenti, per ragioni di tempo e quantità di risorse) non può non essere considerato un momento essenziale della grande controversia eucaristica tra Berengario di Tours e Lanfranco di Bec. Il luogo in cui (forse) maggiormente si svolsero le sessioni conciliari, l’antica Basilica di Santa Maria Maggiore, la “Basilica maior” di origine costantiniana dove i vescovi, con grande solennità, prendevano possesso della seduta principale, è oggi scomparso. Ma la Cattedrale, simbolo della viva e sempiterna cristianità locale, si erge forte nella memoria di Sant’Eusebio.

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